venerdė 9 Febbraio 2018
 

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I Salmi...

L'ospite del Signore 
Signore, chi abiterà nella tua tenda?
Chi dimorerà sul tuo santo monte?

Colui che cammina senza colpa,
agisce con giustizia e parla lealmente,
non dice calunnia con la lingua,
non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulto al suo vicino.

Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.
Anche se giura a suo danno, non cambia;
presta denaro senza fare usura,
e non accetta doni contro l'innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.

 

Dipinto raffigurante S. Antonio da Padova
Misure cm 170 x 80
Secolo XVII
Attribuito al Centino


Dipinto raffigurante Crocifisso
Tempera su tavola cm 166 x 140
Seconda metà del 300
Ignoto pittore romagnolo



Paliotti
Quattro paliotti cm 90 x 200
Datati secolo XVIII
Artigianato Carpigiano

Nella foto il particolare del decoro di un paliotto

I paliotti
Con il termine pagliotto viene indicato il rivestimento liturgico dell'altare (da paliare - ricoprire). Originariamente era una lastra di pietra scolpita e decorata, fu poi anche eseguito con altri materiali quali: avorio, metallo, legno, stoffe preziose. Erano inizialmente intercambiabili a seconda delle solennità da celebrare, poi fissi legati alla dedicazione dell'altare. Il paliotto in scagliola nasce come imitazione economica del costosissimo intarsio marmoreo. La materia prima utilizzata è una finissima polvere essicata di gesso detto selenite, con cristalli formati da lamelle trasparenti e scaglie (da quì il termine scagliola). Il legame utilizzato era la colla di coniglio che conferiva maggior consistenza e ritardava l'indurimento permettendo una più agevole lavorazione. La pasta veniva colorata con l'aggiunta di pigmenti come terre naturali e bruciate e ossidi minerali. Il nero, cromia basilare del manufatto poteva essere ottenuto da ossa calcificate (avorio), o nero fumo (dalla carbonizzazione di tralci di vite). Su un'intelaiatura di legno e arelle o canne si stendeva una base di gesso acqua e colla. Poi una "coperta" millimetrica di scagliola livellata sulla quale viene riportato con la tecnica dello spolvero il disegno. Con punte d'avorio si procedeva allora allo scavo dove depositare la pasta colorata. Per ogni colore si attendeva il suo indurimento, si levigava e si procedeva ad un ulteriore scavo per un'ulteriore aggiunta cromatica. Solitamente terminati tutti i decori il gesso bianco veniva asportato e riempito di nero. A volte il colore di fondo era posto nella fase iniziale. Il manufatto indurito veniva levigato con il carbon dolce (di silice o di faggio), lucidato poi con olio di noce tale da conferire quella lucentezza propria delle superfici marmoree. Era una lavorazione laboriosa che poteva anche richiedere più di tre mesi.

 
 

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